Ripetibilità dell’indebito per assenza dei requisiti pensionistici. Il caso

09 gennaio 2019

Nel settore della previdenza e dell’assistenza obbligatorie non trova applicazione la regola generale della ripetibilità dell’indebito

Quando manca un presupposto del beneficio assistenziale diverso rispetto a quello sanitario o reddituale, vanno applicate le norme sulla ripetibilità dell’indebito che fanno riferimento alla mancanza dei requisiti di legge in via generale. In particolare, viene in rilievo il D.P.R. n. 698 del 1994 il quale, all’art. 5, comma 5, prevede che nel caso di accertata insussistenza dei requisiti prescritti per il godimento dei benefici si da luogo alla immediata sospensione cautelativa del pagamento degli stessi, da notificarsi entro trenta giorni dalla data del provvedimento di sospensione. Il successivo formale provvedimento di revoca produce effetti dalla data dell’accertata insussistenza dei requisiti prescritti. Di conseguenza non è legittima la pretesa restitutoria dell’Inps qualora relativa a somme erogate prima dell’accertamento dell’erronea erogazione della pensione.

La vicenda

La vicenda controversa originava dal caso di un minore, affetto da sordità e già percettore di indennità di accompagnamento, che si era visto, in via aggiuntiva, erogare la pensione per sordi in luogo dell’indennità di comunicazione (cui aveva diritto).

Cosicché l’inps, nel comunicare l’illegittima erogazione della pensione per sordi, ne aveva richiesto la restituzione delle somme, motivando le ragioni della propria pretesa sulla carenza del presupposto anagrafico per il godimento del beneficio corrisposto.

A tal riguardo, il Tribunale di Bari (Sez. Lavoro, sent. n. 3790/2018), investiti della vicenda in esame, hanno ritenuto opportuno, richiamare alcune fondamentali affermazioni della giurisprudenza di legittimità ed, in particolare, quanto si legge nella sentenza di cui a Cass. civ., Sez. lav., 23/01/2008, n. 1446.

Le prestazioni economiche agli invalidi civili costituiscono l’oggetto di obbligazioni (pubbliche) ex lege, in quanto nascono al verificarsi dei fatti previsti dalle norme.

Di conseguenza, i procedimenti amministrativi preordinati ad accertare tali fatti e, quindi, l’esistenza o l’inesistenza dell’obbligazione (originaria o sopravvenuta), ancorché i detti fatti siano complessi ed il relativo accertamento abbia natura critica, cioè di giudizio, con l’opinabilità che contrassegna tutti i giudizi, rivestono natura meramente ricognitiva, funzionale all’attuazione dei rapporti obbligatori, perciò escludendo la configurabilità di poteri amministrativi e di provvedimenti costitutivi degli effetti (giurisprudenza pacifica: vedi, per tutte, Cass. civ., Sez. Un., 8 aprile 1975, n, 1261).

Ciò implica che il diritto nasce in coincidenza con l’insorgenza dei requisiti e non certo per effetto degli atti cd. di “concessione”, come impropriamente talora denominati dalle norme; allo stesso modo, i cd. atti di revoca non sono altro che ricognizioni in ordine all’inesistenza originaria o sopravvenuta dell’obbligazione e non certo provvedimenti espressione della cd. “autotutela amministrativa”, che è potere discrezionale di apprezzamento della conformità della situazione all’interesse pubblico (vedi, per tutte, Cass. civ., sez. lav., 10/01/2001, n. 256).

Il descritto assetto ordinamentale si pone in diretta derivazione dai principi espressi dall’art. 38 Cost., attributivi del “diritto” al mantenimento e all’assistenza sociale spettante ai cittadini inabili e sprovvisti dei mezzi necessari per vivere, nonché del diritto alla previdenza per i lavoratori.

In linea generale, perciò, le prestazioni derivanti dalla solidarietà sociale non possono riconoscersi a coloro che non possiedono i requisiti previsti dalla legge per essere titolari del diritto.

A questa regola, può derogare il legislatore mediante espresse previsioni e per casi specifici, ove ritenga di privilegiare l’affidamento determinato dall’attribuzione di fatto di una prestazione per un lasso notevole di tempo (si veda il disposto del D.Lgs. 23 febbraio 2000, n. 38, art. 9, comma 1, circa la rettificabilità degli errori commessi dall’Inail nell’attribuzione di prestazione entro il termine massimo di dieci anni).

Il riferimento normativo

Ne discende l’applicabilità del principio generale di cui è espressione l’art. 2033 c.c., secondo il quale ogni erogazione attribuita in assenza dei requisiti prescritti dalla legge è da considerare indebita e soggetta a ripetizione (Cass. civ., Sez. lav., 17/04/2014, n. 8970).

Tuttavia, nel settore della previdenza e dell’assistenza obbligatorie si è affermato, ed è venuto via via consolidandosi, un principio di settore secondo il quale, in luogo della generale regola codicistica di incondizionata ripetibilità dell’indebito, trova applicazione la regola, propria di tale sottosistema, che esclude viceversa la ripetizione in presenza di situazioni di fatto variamente articolate, ma comunque avente generalmente come minimo comune denominatore la non addebitabilità al percepiente della erogazione non dovuta ed una situazione idonea a generare affidamento.

Nello specifico ambito delle prestazioni economiche corrisposte agli invalidi civili, la disciplina particolare della ripetibilità delle prestazioni indebitamente erogate va ricercata nella normativa appositamente dettata in materia, non potendo trovare applicazione in via analogica – ma neppure estensiva stante il carattere derogatorio dell’art. 2033 c.c.di disposizioni di questo genere – le regole dettate con riferimento alle pensioni o altri trattamenti previdenziali.

La disciplina dell’indebito va, quindi, ricavata esclusivamente dalle norme concernenti le prestazioni assistenziali agli invalidi civili.

L’evoluzione della normativa nel tempo

La materia è stata diversamente regolata nel corso del tempo da numerose disposizioni che si sono susseguite.

Si tratta: della L. n. 29 del 1977, art. 3, di conversione del D.L. n. 850 del 1976; del D.L. n. 173 del 1988, art. 3, comma 9, convertito nella L. n. 291 del 1988; della L. 24 dicembre 1993, n. 537, art. 11, comma 4; del D.P.R. 21 settembre 1994 n. 698, art. 5, comma 5; del D.L. n. 323 del 1996, art. 4, convertito con modifiche nella L. 8 agosto 1996, n. 425 (in relazione alla mancanza dei requisiti sanitari), della L. 27 dicembre 1997, n. 449, art. 52, comma 3, (in relazione alla mancanza dei requisiti salutari), della L. 23 dicembre 1998, n. 448, art. 37, (in relazione alla mancanza dei requisiti sanitari); ed infine del D.L. 30 settembre 2003, n. 269, art. 42, comma 5, convertito nella L. 24 novembre 2003, n. 326, il quale, nel disporre che l’Inps e il Ministero del Tesoro devono stabilire le modalità tecniche per effettuare in via telematica le verifiche sui requisiti reddituali dei titolari delle prestazioni assistenziali, e per procedere alla sospensione ed al recupero, prevede che non si proceda alla ripetizione delle somme indebitamente percepite, prima della data di entrata in vigore del presente decreto, dai soggetti privi dei requisiti reddituali.

Pertanto, la disciplina della ripetibilità muta a seconda della ragione che ha dato luogo all’indebito assistenziale: se si accerta la mancanza dei requisiti sanitari le norme applicabili, a seconda dell’epoca della erogazione, saranno quelle sopra elencate; se si accerta invece la mancanza dei requisiti reddituali, non si può procedere alla ripetizione dei ratei percepiti prima dell’entrata in vigore del D.L. n. 269 del 2003; mentre, quando manca radicalmente il diritto alla prestazione, ad es. per corresponsione dovuta ad errore di persona, l’indebito è pienamente ripetibile ex art. 2033 cod. civ., mancando la ratio per applicarsi, in questo caso, il principio di settore di necessaria tutela del percettore in buona fede della prestazione assistenziale indebita (Cass. civ., Sez. lav., 23/08/2003, n. 12406).

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